Questo progetto è realizzato con il sostegno del Ministero per i Romeni all’Estero
#FestivalPropatria2019
#GreenEdition
FESTIVAL INTERNAZIONALE PROPATRIA-
GIOVANI TALENTI ROMENI
IX-a edizione
Roma, 21 settembre- 26 ottobre 2019
Presentazione artisti
Direttore artistico Festival: MARA DOBRESCU
La celebre pianista romena MARA DOBRESCU stabilita in Francia, ha iniziato i suoi studi musicali al Liceo di musica G.Enescu alla classe della professoressa Gabriela Stepan.
Si è fatta notare molto rapidamente dal pubblico e da critici per la sua qualità d’interpretazione e per l’uso dell’eleganza e finezza. Grazie alla Borsa di studio, concessa per tre anni da parte del Governo Francese, le permette di frequentare gli studi presso il Conservatorio Nazionale Superiore di Parigi con altissime distinzioni. Si laurea e vince numerosi concorsi Internazionali grazie al finanziamento di fondazioni come Yamaha, Meyer,Tarazzi, Nadia e Lili Boulanger. Ottiene anche un master in musica contemporanea al Conservatorio Nazionale Superiore di Genova.
Mara Dobresco è invitata ad esibirsi in vari concerti e in diversi recital (anche come solista) sulle scene più importanti di Parigi:Théâtre Mogador, Théâtre de Chatelet, l’Auditorium du Musée d’Orsay, Cité de la Musique, Salle Cortot, Orangerie de Bagatelle, in numerosi festival come Festivalul din Aix en Provence, PianoLille Festival, Saintonge Festival, ArsTerra Festival e anche sui palchi Concertgebouw di Amsterdam, Bozar e La Monnaie Bruxelles.
Sostiene recital e concerti in Spagna, Germania, Austria, Bulgaria, Russia, Cehia, Giappone, Argentina, Australia e debutta per la prima volta negli Stati Uniti a Chigago e New York, dove gode ancora oggi del suo grande successo.
Registra per la radio e la televisione Romena, per Radio France e Radio Swiss-Romande.
La sua discografia è molto apprezzata da stampe specializzate come Le Monde de la Musique, Classica, Repertoire.
Contemporaneamente alla sua carriera da solista, Mara Dobresco è affascinata dalla drammaturgia del gesto musicale e partecipa a numerosi progetti basati sulla combinazione di letteratura, musica e teatro.
Essendo amante della musica da camera, fa progressi grazie all’appoggio di musicisti molto talentuosi della sua generazione, prendendo anche parte al Quartetto Face à Face (2 pianoforti e 2 percussioni) accanto al quale svolge concerti in tutto il mondo.
Mara Dobresco gode della guida di grandi maestri come:Martha Argerich, Jean Claude Pennetier, Pierre-Laurent Aimard et Dominique Merlet.
HARRY TAVITIAN
È un pianista jazz contemporaneo rumeno . Secondo International Herald Tribune / 19 ott 1990, viene considerato come ” il jazzman contemporaneo più importante” e, secondo il critico austriaco Richard Schuberth, “tra i pianisti straordinari che hanno avviato e perfezionato il New East European Jazz”. Il jazz d’avanguardia e il blues arcaico si alternano nella sua creazione, attraversata fin dall’inizio da un forte spirito etnico. www.harrytavitian.ro
Harry Tavitian è nato in una famiglia armena a Costanza. Ha studiato il piano classico all’età di sei anni. A 17 anni, ha iniziato a cantare blues dopo aver partecipato ad un concerto di Memphis Slim a Brasov. Si è laureato all’Accademia di Musica di Bucarest. A 22 anni, ha partecipato alla prima edizione del Jazz Festival di Sibiu e ha suonato a quattro mani con Richard Oschanitzky in una jam session. Dal 1976 è dedicato esclusivamente al jazz. Nel 1978, a Constanta, ha fondato il Gruppo Creativo con il quale ha vinto il primo premio per il debutto al Sibiu International Jazz Festival nel 1980. Tra il 1978 e il 1987 ha diretto il Jazz Club della Biblioteca Provinciale di Costanza e organizzato il “Improvisation Workshop”, una singolare manifestazione a livello nazionale, che comprende 35 edizioni al Dramatic Theatre. Nel 1992 ha fondato l’Harry Tavitian Cultural Foundation, dove ha continuato la serie Workshop e sostenuto la formazione di giovani musicisti, plastici e scrittori di talento, la maggior parte dei quali si sono riuniti nell’Atalal Arts / Letters Association, dove la nuova generazione di scrittori e artisti di Constanta si è cristallizzata. Dal gennaio 1990 fino ad oggi è produttore del Jazz Context e Armenian Nation and Civilization di Radio Constanta.
Per oltre 35 anni, Harry Tavitian ha eseguito numerosi concerti all’estero in Russia, Lituania, Francia, Italia, Germania, Bulgaria, Portogallo, Moldova, Serbia, Polonia, Scozia, Ungheria, Grecia, Turchia, Paesi Bassi, USA , Armenia (come ospite personale del Presidente dell’Armenia), Slovacchia, Svizzera, Repubblica Ceca, Austria o Slovenia.
Dal 2009 è cittadino onorario di Vălenii de Munte e dal 2011 è cittadino onorario di Constanţa.
DANIEL PETRICA CIOBANU
http://www.danielpetricaciobanu.com/about
Daniel Petrica Ciobanu, laureato della Royal Academy of Music in Scozia, con borsa di studio, ha iniziato lo studio del pianoforte a 7 anni in Piatra Neamt con il suo primo insegnante di pianoforte, Magdalena Cosma, e ha gettato le basi della carriera di pianista di oggi nelle principali orchestre del mondo. Dopo numerosi premi in concorsi nazionali, “Carl Czerny” o “Pro Piano” Daniel Petrică Ciobanu è accettato alla Royal Academy of Music di Scozia nel 2010. Nei prossimi anni, Daniel Petrică Ciobanu ha vinto premi in importanti concorsi internazionali e partecipa a master class con artisti come Richard Goode, Idil Biret, Philip Fowke, Philip Martin, Pascal Roge, Steven Osborne, Murray McLachlan, Martino Tirimo Roy Howat, Petras Geniušas Ian Fountain. Nel 2010 è invitato a suonare insieme a Lang Lang alla Royal Festival Hall. Concerti con orchestre come “Conservatorio Reale di Scozia”, ”Orchestra Sinfonica”, “Royal Scottish National Orchestra,” Orchestra “Mihail Jora” di Bacau e concerti presso il Consolato britannico a Los Angeles, Hall “Mozarteum” di Salisburgo o “Fazioli Center” a Londra.
Attualmente si sta specializzando presso l’Università delle Arti di Berlino. Recentemente, Daniel Petrică Ciobanu ha vinto il Primo Premio al V edizione del Concorso Pianistico Internazionale di Rio de Janeiro e tutto premio al concorso “Unis” da Pretoria, in Sud Africa. In data 11 maggio 2017, il pianista Daniel Petrică Ciobanu ha vinto il Secondo Premio e il Premio del pubblico al Concorso Pianistico Internazionale “Arthur Rubinstein” di Tel Aviv, uno dei più importanti a livello internazionale. Nel 2017 gli è stato assegnato il Premio di Eccellenza Propatria.
ALEXANDER GADJIEV
è nato nel 1994 a Gorizia in una famiglia di musicisti. Ha iniziato lo studio del pianoforte all’età di 5 anni con la madre, Ingrid Silic e ha proseguito con suo padre Siavush Gadjiev, noto didatta russo. https://www.alexandergadjiev.com/en/
Ha vinto il primo premio assoluto in diversi concorsi giovanili. All’età di nove anni ha suonato il Concerto do maggiore per pianoforte e orchestra di Haydn ottenendo ottime critiche dalla stampa. Ha tenuto il suo primo recital all’età di dieci anni. Tra il 2005 e il 2008 ha suonato come solista al Palazzo del Governo di Trieste nell’ambito della stagione concertistica Chamber Music, al Teatro Alfieri di Torino, al Teatro Fumagalli di Cantù, nella sala dei festival di Lubiana, all’Auditorium e al Teatro Bratuz di Gorizia. Dopo il successo ottenuto al concorso pianistico di Lubiana è stato invitato ai festival di Lubiana e di Feldkirchen.
Nel 2009 ha suonato il Concerto di Grieg con l’Orchestra Ars Atelier di Gorizia sotto la direzione di Marco Feruglio e con l’Orchestra dell’Opera di Lubiana sotto la guida di Igor Svara. Nel 2010 ha tenuto recital solistici all’Auditorium Pollini di Padova, al Museo Revoltella di Trieste e al Festival Pianistico del Ridotto del Teatro Verdi di Trieste, alle Filarmoniche di Lubiana e Maribor.
Nel 2012 ha suonato con l’Orchestra RTV Slovenija il Concerto di Čajkovskij sotto la guida di En Shao. Nell’aprile dello stesso anno ha vinto il Terzo Premio alla Prima edizione del “FVG International Piano Competition”. Nel giugno del 2012 ha vinto la IX edizione del “Premio delle Arti” svoltasi a Trieste, con giudizio unanime della giuria.
Sempre nel 2012 si è diplomato al Conservatorio Bruno Maderna di Cesena con lode e menzione speciale e ha debuttato a Parigi, suonando al Centro Culturale Italiano nell’ambito della rassegna “Suona Italiano”.
Nel maggio 2013 ha suonato a Roma nello splendido Museo dell’Ara Pacis, e a novembre dello stesso anno ha vinto la XXX edizione del prestigioso Premio Venezia, rassegna alla quale possono partecipare solo i diplomati eccellenti dei Conservatori Italiani. Grazie a questa vittoria si è esibito, tra gli altri, al Teatro La Fenice di Venezia in concerti solistici e con orchestra e ha debuttato a Londra.
Dall’autunno 2013 si perfezione nella classe di Pavel Gililov al Mozarteum di Salisburgo.
Nel giugno 2014 ha raggiunto la fase semifinale del prestigioso “Gina Bachauer International Artists Piano Competition”. Ad agosto è stato selezionato per partecipare alla fase finale del “Premio Busoni” di Bolzano e ad aprile 2015 ha suonato con l’Orchestra della Fenice il Concerto n. 1 di Šostakovič, sotto la direzione di Temirkanov.
SERGIU CELIBIDACHE
Celibidache non è stato solo un musicista, ma un vero artista del 900 che ha frequentato ed esplorato ogni campo della vivacissima cultura del tempo, da quella filosofica alla letteraria, scientifica, religiosa e figurativa. Chiunque abbia avuto la fortuna di avvicinarlo e avere scambi di opinioni con lui ha potuto saggiare lo sterminato bagaglio di interessi, teorie e cognizioni che egli aveva, e con quale piacere e semplicità spaziava da un campo all’altro. In tutte le sue attività, particolarmente in quella musicale, emergeva questa cultura con infiniti riferimenti (qualche pillola è possibile coglierla anche nei film-documentari e nelle prove filmate), ma purtroppo tutto resta confinato in questo limbo di ricordi frammentari. Il nostro augurio è che, essendoci nel mondo ancora un numero molto elevato di persone che hanno avuto l’opportunità di conoscerlo, si possano raccogliere il maggior numero di ricordi e impressioni, al fine di ricostruire, anche se in modo organicamente discontinuo, un ritratto sufficientemente esaustivo di questa figura fondamentale della Storia del XX Secolo.
Sergiu Celibidache è nato a Roman (distretto di Neamt nella regione della Moldova), una piccola città vicino alla contea di Iaşi, nella parte nord orientale della Romania non lontana dal confine con la Moldavia, l’11 luglio 1912 (28 giugno secondo il calendario giuliano ancora in auge all’epoca in quella Nazione), in una famiglia molto agiata. Suo padre, Demostene, era prefetto, e sembra che fosse molto autoritario. Sua madre non si interessava particolarmente di musica, ma suonava il pianoforte da dilettante. Sergiu aveva quattro tra fratelli e sorelle e, in particolare, aveva una relazione privilegiata con sua sorella Tania che continuò per lungo tempo a passare le vacanze nella casa di campagna dei Celibidache nel Loiret.
Inizialmente i genitori erano preoccupati per il fatto che Sergiu non parlava, ma improvvisamente rivelò di saper parlare, fugando i dubbi di un possibile ritardo mentale.
Una delle particolarità di Iaşi è quella di essere la città nella quale è nato il teatro yiddish, quella forma di espressione popolare che mescola canti e sketch recitati. La maggior parte degli amici di Celibidache erano ebrei ed è per questa ragione che oltre al francese, che era la lingua staniera tradizionalmente studiata in Romania, egli conosceva abbastanza bene l’yiddish, cosa che lo aiutò ad imparare il tedesco quando decise di studiare a Berlino. Celibidache era molto dotato per il pianoforte, che iniziò a suonare già dall’età di quattro anni; aveva ottimi risultati a scuola, ma suo padre sognava per lui una grande carriera politica.
Quando Demostene Celibidache seppe che suo figlio diciottenne voleva diventare musicista, si oppose con tutte le sue forze. Lo scontro fra queste due grandi personalità portò inevitabilmente ad una rottura. Dopo la licenza liceale, studiò musica, filosofia e matematica a Bucarest, facendo il viaggio in treno nascosto per non farsi trovare dai controllori; in questo modo iniziò la sua vita da studente, che durò quindici anni, nel corso dei quali raramente riuscì ad avere più di qualche spicciolo.
A Bucarest Celibidache lavorò come pianista accompagnatore di corsi di danza e decise di andare all’estero per studiare la musica in modo più approfondito. Dato che suo padre voleva che egli seguisse la carriera diplomatica in Romania, egli lasciò la sua casa paterna all’età di 23 anni. Le circostanze della vita fecero sì che egli non rivedesse mai più i suoi genitori.
Dopo il servizio militare, di cui conservò un ricordo spaventoso, raggiunse Parigi, che gli appariva come la terra promessa, come per ogni rumeno istruito. Celibidache amerà Parigi per tutta la vita (sbigottì i giornalisti tedeschi dichiarando di aver trovato la soluzione ideale nel guadagnare denaro in Germania per spenderlo a Parigi), ma comprese alla fine di non potervi trovare un maestro che fosse in grado di guidarlo musicalmente.
Dopo qualche disavventura, ascoltò alla radio un quartetto d’archi del professore berlinese Heinz Tiessen che lo interessò a tal punto da indurlo a spedirgli a Berlino, al Conservatorio, una propria composizione. Tiessen ne riconobbe il potenziale musicale insolito e gli rispose rapidamente, invitandolo ad andare a studiare con lui; non senza una certa dose di incoscienza il giovane allora ventiquattrenne partì, nel 1936, per la capitale tedesca.
A Berlino frequentò sia la Musikhochule che la Fredrich-Wilhelm Universitat, Celibidache fu segnato dall’insegnamento prima di tutto del professore di composizione Heinz Tiessen(10.4.1887-29.11.1971), che fu un apprezzato giornalista, impegnato a far conoscere la musica contemporanea e con il quale Celibidache studiò segretamente anche opere vietate dai nazisti, da Hugo Distler – contrappunto – che morì suicida nel 1942 quando fu prelevato per arruolarsi nell’esercito, Kurt Thomas e Fritz – teoria – e Walter Gmeindl. All’Università studiò filosofia (Eduard Spranger e Nicolai Hartmann) e scienza della musica (Arnold Schering e George Schuenemann). Questo fu uno dei più strani periodi della sua vita perché fece esperienze di estrema ricchezza avendo al contempo una vita quotidiana difficilissima.
Era inorridito dalle leggi razziali di cui non aveva neanche minimamente supposto l’esistenza quando viveva in Romania; era straniero e senza soldi, avendo sovente difficoltà a nutrirsi: una fotografia della fine della guerra lo mostra scarnito e porta impressa a matita la didascalia 52 chili! (per un metro e 81 centimetri di altezza); aveva paura di essere arrestato dai tanto detestati nazisti, ma soprattutto di essere espulso verso la Romania perché si arruolasse nell’esercito filo-tedesco.
Alla fine però, fu stranamente proprio il fatto di trovarsi a Berlino e di essere apprezzato dai suoi professori che evitò a Celibidache di fare la guerra.
Fino al 1945 studiò intensamente e insegnò anche alla Musikhoschule (il suo gusto per l’insegnamento sarà tale che egli manterrà questa attività viva per tutta la sua vita). Pare abbia anche studiato ballo; per mantenersi lavorerà spesso con ballerini e mimi in qualità di accompagnatore.
Anche all’esterno del Conservatorio Celibidache fece esperienze determinanti. I concerti diretti da Wilhelm Furtwängler con l’orchestra filarmonica di Berlino gli fecero scoprire un mondo sonoro sconosciuto.
Un concerto del pianista Arturo Benedetti Michelangeli nel 1938, tenuto grazie alla vittoria del concorso di Ginevra, lo impressionò talmente che egli rinunciò totalmente a qualsiasi ambizione pianistica. Per mantenersi si produceva soprattutto come pianista accompagnatore, ma iniziò le prime esperienze direttoriali con formazioni corali, che considerava, però, un’attività secondaria, concentrando il suo impegno soprattutto sulla composizione.
Fin dal 1939 il maestro Zen Martin Steinke lo iniziò ad una disciplina che, come la musica, vuole accedere alla realtà andando al di là dei processi logico-deduttivi del pensiero.
Al Conservatorio Celibidache era diventato assistente in molte classi pur continuando ad essere uno studente che alimentava continuamente la discussione e il contraddittorio sia con i compagni che con i professori.
Tra il 1941 e il 42 Celibidache fece le sue prime esperienze di direzione con l’orchestra degli amici della musica di Berlino. In quell’occasione il suo nome apparve per la prima volta nella stampa locale. Ovviamente era ancora del tutto sconosciuto, ma già colpì l’immaginario popolare anche per la sorprendente memoria. In un’occasione presentò anche un proprio lavoro. Dopo un concerto con studenti del conservatorio, durante il quale vennero eseguiti i Concerti Brandeburghesi di J.S. Bach, Tiessen in un’intervista previde per questo suo allievo un futuro direttoriale a fianco di Furtwängler.
Concluse il suo iter di studi in conservatorio discutendo una tesi su Josquin des Près (Formbildende Elemente in der Kompositionstechnik Josquin des Prés – sicuramente perduta) che però non depositò per non doversi dichiarare nazista.
C’è da notare che in Germania le orchestre hanno ricominciato a fare concerti fin dalla fine della guerra. I musicisti dovevano guadagnarsi da vivere, la popolazione voleva ascoltare musica e le forze d’occupazione consideravano la musica sia un mezzo di propaganda che un divertimento per i soldati.
Nel frattempo una inchiesta sulle attività durante la guerra della maggior parte dei direttori d’orchestra tedeschi impediva loro di dirigere fino a quando non avesse reso possibile la loro “denazificazione”.
L’11 agosto 1945 Celibidache diresse il primo concerto nella Berlino liberata a capo di una orchestra da camera formata da cittadini berlinesi, dopodiché, con l’orchestra di radio Berlino, dirigerà la prima sinfonia di Brahms e la suite dall’uccello di fuoco di Stravinsky.
Celibidache, spinto da Tiessen, si era presentato al concorso di reclutamento organizzato dai russi per trovare un direttore per l’orchestra della radio che stavano creando e l’aveva vinto, superando una dozzina di concorrenti.
Un tragico concorso di circostanze (il direttore Lèo Borchard, che era stato nominato dagli americani, fu ucciso da una sentinella durante una passeggiata notturna – il compositore Anton Webern morì in circostanze analoghe – e non vi era nessun altro direttore “non-sospetto” disponibile) permise a Celibidache di dirigere il 29 agosto 1945 il primo concerto sinfonico della sua vita alla guida della più famosa orchestra europea, la filarmonica di Berlino (sinfonia de il barbiere di Siviglia, concerto per fagotto di Weber e la sinfonia n. 9 di Dvorak); fu un rappresentante dell’Orchestra Filarmonica a proporgli di dirigere un concerto che fu talmente apprezzato da pubblico e critica che Celibidache fu subito nominato direttore titolare e diresse con l’orchestra, solo nel corso della prima stagione, più di cento concerti. Fino al 1954 saranno 414!
Nominato rappresentate dei Berliner, ebbe la licenza di muoversi in tutte le zone di occupazione.
Nel ’46 iniziò anche una attività di docenza presso l’Internationales Musikinstitut di Berlino. A dicembre, su richiesta (quasi imposizione) dei sovietici, dirige quasi senza prove la sinfonia n. 7 “Leningrado” di Shostakovich
Celibidache fin da allora non era affatto un carrierista e dal momento della sua nomina lottò per far sì che Furtwängler riprendesse il suo posto a capo dell’Orchestra Filarmonica, posto che aveva occupato dal 1921 fino alla fine della guerra.
Fece pratiche su pratiche, aiutò Furtwängler durante la preparazione delle audizioni davanti alla commissione di denazificazione fino al ritorno del direttore tedesco davanti alla sua orchestra nel 1947.
Nel 1948 avrà la sua prima esperienza con un’importante orchestra estera, e cioè la London Philarmonic e i Berliner Philarmonike eseguiranno la loro prima tournée all’estero – Londra – con i due direttori. Già l’anno seguente Celibidache dirigerà orchestre in diverse parti del mondo: Austria, Italia, Francia e sudamerica.
Nel 1951 si sottopose a una difficile operazione al collo a Città del Messico.
Fino al 1952, i due direttori condivisero la direzione dell’Orchestra, ma Celibidache dirigeva sempre meno a Berlino a causa dei suoi noti malintesi con l’orchestra e con lo stesso Furtwaengler. Nel maggio del 52 trionfa a Buenos Ayres. Nel 53 dirige per la prima volta l’orchestra del Teatro alla Scala di Milano. Il 28 novembre 1954 ricevette la “Gran Croce al merito” della Repubblica Federale Tedesca; Il 29 novembre diresse il suo ultimo concerto con l’O.F.B. e Furtwängler morirà il giorno seguente. Il 13 dicembre 1954 Herbert von Karajan venne nominato direttore dell’O.F.B. Celibidache lasciò Berlino.
Celibidache aveva un carattere “tutto d’un pezzo” e non aveva alcuna capacità diplomatica. Riteneva che una parte dell’orchestra fosse un peso morto e che andasse rinnovato per far progredire l’orchestra e renderla capace di suonare un repertorio moderno che egli aveva introdotto; riscosse il consenso della parte giovane dell’orchestra, ma fu contestato dai musicisti più anziani.
Stranamente è verso l’America del Sud che Celibidache volse il suo interesse per inseguire il suo “anti-carrierismo”. Le orchestre erano senza dubbio ad un livello inferiore rispetto a quelle europee, ma con queste poteva sviluppare un tipo di lavoro fondato su un numero rilevante di prove, nel corso delle quali i musicisti imparavano a lasciar vibrare la musica dentro di sé e ad abbandonare ogni abitudine fisica e psichica, pur sforzandosi di non tralasciare nessun particolare necessario alla valorizzazione del processo compositivo.
Nel corso di tutta la sua vita di direttore d’orchestra, Celibidache conserverà viva dentro di sé l’impressione lasciatagli dalle sonorità continuamente modellate dall’evoluzione del discorso musicale che Furtwàngler otteneva dall’orchestra di Berlino, sempre cercando quella precisione nel lavoro che permettesse una regolarità ottimale di risultati.
Non è solo questa l’esigenza che portò Celibidache, nel corso di decenni, a dirigere solo orchestre di media importanza o orchestre di emittenti radiofoniche, meno sottomesse agli imperativi economici delle orchestre di prestigio che non concedono se non poche prove.
Celibidache è stato soprattutto un avversario accanito del disco e si può verosimilmente affermare che le grandi orchestre moderne sono persuase che la loro sopravvivenza finanziaria dipende dalla notorietà oggi acquisita nell’ambito del mercato discografico.
Dopo qualche tentativo intorno agli anni cinquanta, Celibidache rinunciò definitivamente alla registrazione di dischi dato che egli era persuaso che ogni volta che si ascolta un disco si soffoca sempre di più la propria capacità di commuoversi in presenza del suono vivo e quindi di vivere la musica.
Per Celibidache solo la coordinazione fatta da un essere vivente di tutti i parametri interagenti in un’opera d’arte concepita organicamente, permette ad un altro essere vivente di fare l’esperienza specifica che rende possibile un’opera d’arte.
La riproduzione, e quindi la deformazione, attraverso mezzi meccanici, di informazioni che non acquisiscono altro senso se non nel loro fragile equilibrio, è una falsificazione che abitua lo spettatore o l’ascoltatore ad una percezione meccanica, denudata di spontaneità.
Questa certezza senza compromessi ha allontanato per molto tempo Celibidache dalle orchestre ritenute le migliori, ma gli ha dato la capacità di rimettersi in gioco durante tutta la sua vita.
Tra il 1953 e il 1967 Celibidache è stato molto attivo in Italia con l’Orchestra de “la Scala”, “l’Accademia di Santa Cecilia”, le orchestre della RAI de Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna e Firenze (molti di questi concerti sono stati filmati). Egli ha anche diretto le opere di numerosi compositori contemporanei come Casella, Malipiero, Petrassi, Dallapiccola e Ghedini.
Nel 1957 rientra a Berlino per dirigere l’orchestra della radio in un concerto in onore del m° Tiessen per i suoi 70 anni.
Dal 1960-62 tenne corsi per master all’Accademia Musicale Chigiana in Siena, e nello stesso periodo lavorò intensamente con la Cappella Musicale di Copenhagen
Per molti anni visse a Lipari con la famiglia nella sua bella casa di Quattrocchi, anzi nelle sue sette belle case a cui ad ognuna di esse diede il nome di un’isola delle Eolie, tanto era legato a questi scogli. Poi non andò piu’ nell’isola perchè gli bruciarono la casa e il pianoforte ma sempre pensò all’isola “dolce-amara” e alla sua gente che lo aveva accolto con entusiasmo e che l’aveva tradito.
Nel 1962 divenne il direttore della Stockholm Radio Symphony Orchestra, che ricostituì completamente (fino al 1971).
Nel Maggio del 1965 Sergiu Celibidache sposò Ioana Procopie Dhnitrescu, pittrice, che conosceva fino dagli anni dell’infanzia, e il 19 giugno 1968 è nato il suo unico figlio Serge Ioan Celebidachi.
Celibidache amava ricordare due episodi significativi: prima di tutto la critica feroce che il suo maestro Tiessen gli aveva indirizzato dopo un concerto fatto a quaranta anni, quando godeva dell’entusiasmo del pubblico.
Poi la rivelazione che egli ebbe due anni più tardi durante un concerto a Venezia, nel corso del quale tutto andò alla perfezione: la musica era così limpida che sembrava che il tempo si fosse fermato.
Il percorso europeo di Celibidache, negli anni cinquanta e sessanta, fu molto legato all’Italia e ai paesi scandinavi.
Amava abitare in Italia e le orchestre delle radio danese e svedese, certamente molto modeste, gli permisero di sviluppare l’arte, che certamente egli possedeva come nessun altro direttore d’orchestra, di ottenere il massimo dai mezzi di cui disponeva.
Nel 1970 fu decorato “Chevalier de l’Ordre Vasa” della Svezia, e ricevette il “Danish Leonie-Sonning Musical Award”.
Nel 1972 tenne corsi di direzione d’orchestra a Siena e Bologna.
Non bisogna sottovalutare questo periodo apparentemente molto sbiadito musicalmente, perché il Celibidache glorioso che abbiamo conosciuto in seguito, che ha saputo ad esempio trasformare in qualche anno una buona orchestra tedesca in uno strumento fremente, capace di produrre sonorità letteralmente mai sentite, ha perfezionato il suo sviluppo in quel momento.
L’attività musicale di Celibidache in Francia, dove ha passato gli ultimi trenta anni della sua vita, purtroppo fu molto limitata. Ha diretto solo una volta l’Orchestra di Parigi, ed è stato per poco più di un anno direttore principale dell’Orchestra Nazionale della radio francese, nel 1974. La direzione del “Métaboles” de Dutilleux è però rimasta memorabile.
Celibidache aveva molte ambizioni per l’orchestra parigina, ma gli ostacoli per la loro realizzazione erano troppi perché questa collaborazione potesse continuare. I problemi erano di vario ordine: una certa routine nel funzionamento dell’orchestra, una qualità insufficiente delle sale da concerto, e in più un modo di suonare che doveva essere profondamente modificato per arrivare ad una esecuzione della musica tedesca tale che Celibidache la ritenesse adeguata. Tuttavia, come dopo ogni passaggio di Celibidache alla guida di un’orchestra, molti musicisti dovettero ammettere che il contatto con una personalità simile li aveva costretti a rimettere completamente in discussione la loro pratica musicale.
Il lavoro con un’orchestra, così come lo concepiva Celibidache, doveva portare ognuno dei suoi componenti a “fare del proprio meglio” (questa espressione molto ingenua è comunque appropriata) e aveva una dimensione pedagogica profonda.
L’insegnamento per Celibidache era una forma suprema di comunicazione. Le porte del suo camerino o di casa sua erano sempre aperte per coloro che avessero il desiderio sincero di esporre senza orgoglio idee o impressioni.
1972-1977 : Celibidache diventa il direttore principale de l’Orchestre della Radio de Stuttgart. Registra con essa, per la prima volta, la propria composizione, “Der Taschengarten”, dedicata ai bambini del Terzo Mondo, i cui benefici furono destinati all’organizzazione mondiale UNICEF.
Nel 1978 Celibidache venne nominato professore all’Università di Magonza. Fino al 1992, insegnò fenomenologia musicale per quattro settimane all’anno. Gli studenti imparavano a ritrovare le pulsioni che avevano guidato il compositore evitando qualsiasi approccio intellettuale alla musica.
L’amor proprio di coloro che studiavano regolarmente con lui era messo a dura prova, dato che il suo metodo d’insegnamento consisteva nel far scoprire ai suoi allievi le contraddizioni contenute nelle loro stesse certezze. Nonostante ciò non ve n’era uno che non condividesse il sentimento di avere scoperto in se stesso cose insospettate grazie al potere rivelatore di questo pedagogo.
1978-1980 : Celibidache affronta diversi concerti in Giappone con l’Orchestra “Yomuri” di Tokyo.
All’inizio degli anni settanta, Celibidache riprese una collaborazione regolare con le orchestre tedesche, in particolare a Stoccarda. Ma fra le orchestre che Celibidache ha conosciuto, l’Orchestra Filarmonica di Monaco di Baviera occupa un posto a parte. Dopo la morte di Rudolf Kempe questo complesso era rimasto senza direttori stabili, e all’inizio degli anni 70 cominciò a prendere contatti col direttore rumeno, che si esibì per la prima volta alla loro testa nel 1976. La collaborazione continuativa inizierà a partire dal concerto del 14 febbraio 1979, e con essa viaggerà in tutto il mondo fino al 1995.
Questo complesso (che Celibidache ha diretto negli ultimi diciassette anni della sua vita, quando aveva imparato a governare un po’ meglio la suscettibilità dei musicisti che, tutto sommato, non erano poi obbligati a condividere tutte le sue concezioni sia sulla vita e che sulla musica) si è trasformato dopo qualche anno di lavoro in uno strumento musicale senza pari. In nessuna altra orchestra è possibile trovare quelle qualità di fluidità, o, ancora di più, la cura per la sonorità o per la vita delle parti intermedie.
Condusse la prima esecuzione di Gunther Bialas ” Lamento di Orlando” (1986), la Sinfonia No. 3 di Harald Genzmer (1986), la “Sinfonia in tre parti” di Peter Machael Hamel (1988), e ancora “Undine” e “Jeux des Tritons” di Hans Werner Henze.
Nel 1980 e 82 offrirà Masterclass con l’Orchestra Filarmonica, ma lavorerà anche con l’orchestra del Conservatorio di Monaco (Hochschule für Musik), e in seguito a un laboratorio con gli allievi dell’Istituto Curtis di Philadelphia, tenne concerti in quella città e a New York.
Nel novembre 1985 dirige a Monaco il concerto d’inaugurazione della Philarmonie im Gasteig
Tra il 1987 e il1988 lavorò con l’orchestra dei giovani del Schleswig-Holstein, seeguendoli in alcune tournées europee.
Nel 1990 ha un malore mentre dirige; si riprende ma decide, da quel momento, di dirigere seduto.
Alla caduta di Ceausescu, seguono concerti in Romania. Svolge anche un corso di direzione d’orchestra con l’intenzione di creare un’accademia stabile, ma motivazioni di natura, pare, politica, affossano il progetto con sua profonda amarezza.
Nel 1991 venne nominato Professore Honoris Causa della Città di Berlino, oltre che del Conservatorio di Monaco.
Il 31 marzo e 1 aprile 1992, su richiesta del Presidente della Repubblica Federale Tedesca, Celibidache accettò di dirigere l’Orchestra Filarmonica di Berlino dopo 38 anni di assenza. Un cerchio si è chiuso. In giugno fu insignito della “Croce al merito” tedesca. Nel 1993 divenne cittadino onorario monacense.
Nel 1994 viene insignito dottore onoris causa all’accademia d’Arte di Jasi, dove aveva iniziato i suoi studi.
Nel 1995 venne nominato “Commandeur des Arts et des Lettres” dal governo francese. Si impegnò ancora in tournèe, ma sentiva anche il bisogno di periodi di riposo. Tiene lezioni di fenomenologia anche a Monaco e a Parigi.
Una brutta caduta verificatasi in un hotel a Firenze nel maggio del 95 gli procurò la rottura del femore con problemi di deambulazione per il resto della sua vita.
Qualche settimana prima di morire (giugno 1996), Celibidache dirigeva ancora la sua orchestra, la Filarmonica di Monaco di Baviera, e teneva lezioni pubbliche di direzione d’orchestra (Schola-Cantorum, luglio 1996) con l’entusiasmo intatto di sempre.
il Maestro Sergiu Celibidache ci ha lasciati il 14 agosto 1996, a Neuville-sur-Essonne, nel Loiret, tra Parigi e Orléans, dove è anche sepolto. Non è noto il motivo per cui sulla sua tomba il cognome sia stato variato in Celebidachi, assunto anche dal figlio.
Sue composizioni (concerti, messe e quattro sinfonie) sono fino ad oggi inedite. Nell’agosto 2012, al festival “Celibidache 100” a Bucarest, è stata eseguita in prima esecuzione mondiale assoluta la Suite „Haz de necaz”.
SERGE IOAN CELIBIDACHI
«Sembrerà strano, ma l’unica maniera di rispettare le volontà di mio padre sembra quella di far uscire queste registrazioni con l’aiuto di una casa discografica seria e competente, così da mettere fine alla circolazione di registrazioni pirata di infima qualità che non solo hanno svilito l’attività di mio padre, contravvenendo a una sua esplicita scelta, ma hanno portato guadagni non autorizzati a chi sfrutta la fama e la fatica altrui. Nessuno ci ha mai chiesto il permesso di pubblicare niente, eppure nei negozi di dischi girano pessime registrazioni – spesso incise durante le prove – che con l’arte di mio padre nulla hanno a che fare. Per lo meno, in questo modo, abbiamo un controllo certo sul materiale e sulla qualità delle riproduzioni».
Chi parla è Serge Ioan Celibidache, figlio trentenne di uno dei più straordinari direttori del secolo, scomparso ormai tre anni fa, dal carattere a dir poco vulcanico e, come tutti sanno, nemico giurato della riproduzione sonora (era arrivato a sostenere che il disco era merda e che l’ascolto del disco equivale a baciare una donna morta!). La commercializzazione di registrazioni “ufficiali” di Celibidache poteva avvenire solo post-mortem anche se negli ultimi anni la tecnica di ripresa del suono si è affinata a tal punto che prima o poi avrebbe convinto il grande direttore. O forse no.
«Mio padre non sarebbe mai stato d’accordo, lo so, lui diceva che il disco non era musica – e in parte lo penso anch’io – ma tra non molto sarebbero scaduti i diritti e noi della famiglia non volevamo lasciare ad altri lo sfruttamento di questi nastri. Il disco è una fotografia, è l’immagine di una persona in carne e ossa ma non è la persona viva: una registrazione non è la musica suonata, ma è un documento parziale di qualcosa che è accaduto, o che è stato costruito: nel caso dei Cd dedicati a mio padre le riprese sono assolutamente dal vivo e senza ritocchi. Ci tengo a precisare che a noi non arriverà in tasca nulla: utilizzeremo i soldi ottenuti con la vendita dei dischi per attivare due fondazioni. La prima, una Celibidache Foundation, fornirà borse di studio e di perfezionamento ai giovani artisti e li aiuterà a sviluppare un contatto vivo con la musica attraverso concerti e performance dal vivo, cercando di continuare quel lavoro svolto da mio padre con i suoi allievi. Avrà sede probabilmente in Germania, un paese che ha dato molto a mio padre: lì vorrei anche creare un museo, a Monaco o a Stoccarda, per riporvi materiale dedicato a mio padre, filmati, documenti, partiture, eccetera. La seconda fondazione, S.C. Help, avrà carattere umanitario e si occuperà di problemi che ci stanno molto a cuore come agli orfanotrofi romeni o la causa del Tibet».
Serge ha trent’anni, è nato a Parigi, ha studiato drammaturgia alla Bloomington University, vive a Londra e fa il regista cinematografico. Il suo primo film, Il giardino di Celibidache, del 1996, è una specie di ritratto poetico del padre, girato nel giardino della sua residenza in un mulino vicino a Parigi, un documentario che mostra il lato più dolce e affettuoso del burbero direttore, alle prese con la terra, gli animali, i suoi allievi, la natura, i discorsi sulla musica, sulla religione, sulla filosofia. Dopo questo omaggio in un certo senso doveroso – anche psicologicamente – il figlio di Celibidache ha in progetto una fiction da girare in Romania, Crossing the Line, una sorta di commedia road-movie che esplorerà lati poco conosciuti del suo paese d’origine. Serge è un giovane alla mano, dai modi semplici. Parla diverse lingue e condisce il suo anglo-italiano con qualche parola di spagnolo. Come faceva il padre. E al padre somiglia in maniera imbarazzante, cosa che, ci confida, gli ha causato non pochi problemi.
«Non faccio il musicista per diversi motivi, il primo dei quali è quello che quando hai un padre così è difficile pensare di intraprendere la stessa strada. Meglio pensare ad altro. Certo, amo la musica, suono il pianoforte, talvolta lo suonavamo insieme, ci lasciavamo andare a divertenti improvvisazioni jazzistiche, lui era bravissimo anche in questo…». Celibidache come Bill Evans o Lennie Tristano? Da non credere…
«Spesso però, quando lui entrava nella mia stanza, smettevo di suonare». Provate a dare torto al povero Serge. La Deutsche Grammophon non è arrivata prima nella corsa all’acquisto di registrazioni ufficiali del maestro romeno: precedentemente la Emi, sempre con il consenso della famiglia, aveva fatto uscire due cofanetti, uno di composizioni varie e il secondo interamente dedicato a Bruckner, autore prediletto degli ultimi anni di vita, anche se Serge ribadisce: «Il fatto che mio padre avesse una specifica predilezione per Bruckner lo affermavano i critici, ma a me non risulta. Lo amava, ma non più di altri compositori, non più di Brahms». E l’esempio è portato ad arte, visto che questo primo cofanetto targato etichetta gialla contiene le quattro sinfonie del compositore amburghese – più un elettrizzante CD bonus con le prove della Quarta – eseguite con l’Orchestra Sinfonica della Radio di Stoccarda durante gli anni Settanta. È il primo di una serie di sessanta CD che usciranno nell’arco di cinque anni, contenenti esecuzioni con diverse orchestre tra cui quella della Rai, gli amati-odiati Berliner, la Filarmonica di Monaco, le orchestre della radio svedese e danese e alcuni solisti di spicco come Benedetti Michelangeli, Menhuin, Baremboim. A questa uscita seguirà fra alcuni mesi un cofanetto di tre CD dedicato ai russi, e per la fine dell’anno, sono previste novità straussiane e francesi. E la Emi che dice? «La Emi ha pubblicato registrazioni ufficiali dell’ultimo periodo, quello passato con la Filarmonica di Monaco, mentre con la Deutsche Grammophon abbiamo concordato un progetto più ampio e, per così dire, “storico”, che spazia dagli anni Quaranta sino agli Ottanta…». Risposta diplomatica, ovviamente, anche se sotto traccia devono esserci state un bel po’ di battaglie per ottenere tali preziosi documenti sonori. Anche se, con la crisi del disco, quelle come la Celibidache Edition ci sembrano soprattutto operazioni di immagine, di puro lustro culturale: a meno che i CD non vengano venduti separatamente, difficile che l’appassionato medio possa acquistare opere così corpose e, quindi, costose. Anche se vale sinceramente la pena rifarsi le orecchie con le interpretazioni di Celi: in un’epoca di sempre maggiore velocità, in cui si suona dopo un numero sempre minore di prove e si aspetta (o ci si inventa) la star di turno o il tenore indeciso tra la canzonetta e la cabaletta, la passione con cui il direttore romeno pensa, dirige e lascia che la musica respiri è una boccata d’aria fresca. Serge, sul padre musicista, dice una cosa di indubbia verità: «Ciò che sento nelle sue interpretazioni, ma che era presente anche nel suo carattere di uomo, è una armonica e straordinaria combinazione tra la precisione tedesca e un generoso temperamento latino. Mio padre, pur essendo romeno sino al midollo, ha avuto una formazione essenzialmente tedesca e ha ritenuto sempre la Germania uno dei suoi Paesi di riferimento. La combinazione di questi due universi culturali lo ha reso veramente speciale. Non ha avuto patrie giuridiche, ma solo patrie culturali e più di una. Questo è stato, secondo me, un gran bene.»
Ma com’era Sergiu Celibidache come padre? «Era una persona fantastica e aveva, come tutti, i suoi alti e bassi: il fatto è che i suoi alti erano meravigliosi. Non era facile vivere accanto a lui, ma ogni giorno era una vera e propria esperienza. Lui amava il contatto con la natura, era buddista, mi ha trasmesso questo immenso amore per gli organismi viventi. Anch’io sono buddista, e non l’ho fatto per emulazione, mi è bastato semplicemente osservare il suo comportamento, la sua attitudine nei confronti del mondo. Era capace di mettersi ad ascoltare per ore gli uccelli che cantavano, aveva una attenzione tutta particolare per i dettagli e le piccole cose: questo si ritrova anche nelle sue interpretazioni musicali, in cui niente è lasciato al caso durante le prove, ogni nota è pensata in funzione della precedente e della seguente, ma poi tutto fluisce liberamente e quasi spontaneamente in concerto. Attenzione però, non lo voglio santificare: era anche capace di ruvidezze, di essere sincero sino all’offesa, alle volte era intrattabile e testardo. Era un padre molto esigente: mi diceva che non aveva importanza che cosa si fa, musicista, regista, calciatore, cuoco, ma che bisogna metterci sempre anima e corpo, dare il massimo, con lui non si potevano fare le cose a metà. A proposito, era un grande appassionato di calcio e sapeva anche cucinare». Serge parla con autentico amore di Sergiu, porta con orgoglio un grande bracciale d’oro che ci sembra di aver scorto nelle ultime foto del padre, e ha speso molte energie per fare i conti con l’ingombrante figura: le idee però, per lo meno ora, sembrano chiare e risolute. «Per quanto riguarda le due associazioni, soprattutto la Fondazione, vorrei dire un’ultima cosa: non passerò il tempo in giro a glorificare la figura di mio padre: non ne ha bisogno. Ci saranno altre persone, più qualificate di me, a mettere in ordine il materiale da lui lasciato – tra cui anche composizioni proprie, vi assicuro, piuttosto interessanti: io, come il resto della famiglia, farò da supervisore e basta, mi assicurerò che le cose si svolgano al meglio. Per il resto non voglio fare la parte dei figli che passano la vita all’ombra dei genitori o, peggio, nel tentare di emularli. Io sono Serge e faccio altro!».
Fonte: http://www.suonare.it/DettaglioRicerca.php?IdNews=1241
NICOLAE DUMITRU
Un pianista caratterizzato da Diarionews come artista con “doti straordinarie, con una tecnica molto ricca e approfondita” e dalla rivista Melos come “spontaneo, di una grande sincerità e appassionato di ogni dettaglio”, Nicolae Dumitru sosterrà a Roma un recital destinato a mettere in evidenza sia la tecnica speciale che la sua sensibilità.
Nicolae Dumitru ha studiato pianoforte all’Accademia russa di musica “Gnessin”, nella classe del maestro emerito Mihail Sayamov, sotto la cui direzione ha completato i suoi studi post-laurea. Durante il periodo all’estero si è esibito come solista della Moscow State Academic Philharmonic, della State Philharmonic Orchestra di Chisinau e della Philharmonic Orchestra di Nijni – Novgorod, Omsk, Novosibirsk, Belgorod. Dopo essere tornato nel paese, da gennaio 2002 ad oggi, si è esibito sul palco delle principali filarmoniche nel paese. A Bucarest, ha tenuto recital presso la Great Hall of Romanian Athenaeum, la Sala Radio Hall e l’Auditorium Hall of the Art Museum. È apparso come solista ospite della Philharmonic Orchestra “George Enescu” di Bucarest e della National Radio Orchestra, con la quale ha eseguito la prima esecuzione radiofonica del Concerto per pianoforte e orchestra Antonin Dvorak. Sul palcoscenico europeo, Nicolae Dumitru ha tenuto recital a Stoccolma, Vienna, Baden am Wien. Nel 2008, su invito dell’Istituto culturale rumeno, ha realizzato un tour dedicato al centenario Sigismund Toduţă a Lisbona, Madrid, Barcellona, Budapest, Venezia e Roma. Nel settembre 2010, ha avviato il progetto di concerti all’aperto “Autumn Harmonies” al Herastrau Summer Theatre. Nel gennaio 2011, al Teatro “Act” di Bucarest, ha lanciato lo spettacolo permanente “Story for Pianist and Masks” e nel 2013 ha lanciato il progetto nazionale di recital educativo “ConCerto” rivolto a giovani interpreti e supportato nei principali centri filarmonici e culturali in Romania.
MARIUS BIZAU
Un attore di formazione classica con esperienza internazionale in teatro, cinema e televisione.
Marius, nato in Romania, è un attore internazionale che si è trasferito in Italia con la sua famiglia. Si è diplomato presso la Scuola di recitazione nazionale “Silvio D’Amico” (equivalente RADA) a Roma nel 2008.
Durante quegli anni accademici ha lavorato con registi provenienti da tutta Europa e Russia, come: Wyn Jones (Guildhall, Londra), Gabor Stefan (National Drama School di Budapest), Vladimir Olshansky (Teatro Nazionale di San Pietroburgo). Poco dopo il diploma, ha iniziato a recitare e girare l’Italia con le classiche opere shakespeariane, collaborando con alcuni dei più acclamati registi, Luca Ronconi, Armando Pugliese, Emma Dante. Dal 2010 divide il suo tempo tra teatro, televisione e cinema. È presente nei film diretti da Paul Haggis, John Cassar, David Hansen, Ricky Tognazzi e Jan MIchelini.
Nel 2016 ha preso parte al progetto “We are here” messo in scena dal National Theatre (Londra) e diretto da Rufus Norris. Grazie al suo dono per gli accenti, continua a lavorare in tre lingue: inglese, italiano e rumeno.
https://www.vanityfair.it/people/italia/2018/01/15/marius-bizau-intervista-romanzo-famigliare-foto
Marius Bizau: «Quando ero l’escluso, lo straniero»
L’attore, infanzia da Oliver Twist, cattivo in tv con «Romanzo famigliare», racconta la sua storia di integrazione. L’essere nato in Romania, negli anni del comunismo, l’arrivo a Roma, e quel compagno di banco che non dimentica. E oggi, che conosce bene i suoi punti di forza, fa il tifo per la legge sulla cittadinanza: «L’Italia è pronta per lo ius soli»
«Chi sono io? Da dove vengo?». È la domanda che ognuno di noi si è fatto almeno una volta nella vita. Marius Bizau, prima di dare una risposta, se l’è dovuto chiedere più volte. Trentaquattro anni, nato in Romania, ma cresciuto a Roma, dopo una parentesi in Moldavia, ha faticato a fare pace con le sue origini. Ma quando c’è riuscito, si è scoperto uomo risolto. Anche nella professione d’attore. Così sono arrivati i lavori a teatro (formazione all’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio D’Amico), i ruoli in tv (da Pietro Mennea la freccia del sud a Squadra Antimafia), l’esperienza al National Theatre di Londra, il cinema con Paul Haggis.
E adesso i panni di Mariuz, il personaggio di Romanzo Famigliare (la serie di Francesca Archibugi ) che sembra gli sia stato cucito addosso. E prossimamente sarà «antagonista» e «in costume» nella seconda stagione de I Medici. «Da ragazzino mi sentivo discriminato, per questo ho imparato l’italiano così bene. Non volevo essere diverso», racconta dall’altra parte della cornetta, senza alcun tipo d’accento. E non vi è traccia di inflessione anche se la conversazione diventa in inglese. «Oggi mi diverto a giocare con gli accenti», aggiunge. «Se devo recitare in inglese sono perfettamente british, e lo stesso vale per l’italiano o per il rumeno. Mi ritrovo nell’idea di Pirandello di “Uno, nessuno, centomila”».
Tempo fa, invece, ne soffriva. «Molto. Sentivo di non essere del tutto italiano perché non sono nato qui, e nemmeno rumeno perché ho lasciato quella terra a 15 anni. Questo mi creava diversi problemi di stabilità, non riuscivo a comprendere quale fosse la mia identità. Così la prima reazione è stata quella di rifiutare le mie origini, tentare di omologarmi, volevo essere come gli altri. Anche sul lavoro. Dopo l’Accademia, per quasi due anni non sono riuscito a ottenere una parte e davo la colpa al mio essere straniero. Così ho cambiato più volte il mio nome sul curriculum, trasformandolo in Mario, ho modificato il luogo di nascita, volevo essere italiano in tutto è per tutto. Poi mi sono reso conto che la bellezza sta proprio nella diversità».
Oggi di che nazionalità si sente di essere? «Sono un po’ chi voglio. Ho capito che le mie varie identità e le mie capacità linguistiche sono un punto di forza e non di vergogna. A un certo punto mi sono detto che la questione non è tanto quanto l’Italia può dare a me, ma quanto io posso offrire in più all’Italia. Parlare un’altra lingua, conoscere un’altra storia, è una ricchezza».
Che infanzia ha avuto? «Simile a quella di Oliver Twist, cioè non facilissima. Sono nato nel periodo del comunismo a nord della Transilvania. Con la mia famiglia poco dopo ci siamo spostati, abbiamo cambiato città, siamo andati a vivere a Timisoara, ma poi è scoppiata la rivoluzione dell’89. Ero solo un bambino, me nella mia mente conservo immagini da film di guerra. In seguito mia madre è partita per cercare lidi migliori, ed è arrivata in Italia, com’era di moda negli anni ’90. Ha lavorato tantissimo, un impiego dopo l’altro, per aiutare noi rimasti lì. Io e mia sorella all’epoca vivevamo con i nonni, ma dopo sei anni siamo riusciti a ricongiungerci».
Lei era adolescente, quali sono i suoi primi ricordi dell’arrivo in Italia?
«Ero felice di essere di nuovo con lei, ma del tutto traumatizzato. Sono rimasto praticamente zitto per tre anni, parlavo a malapena. Finché grazie al mio professore di Francese ho scoperto il teatro, lì mi si è aperto un mondo. Avevo trovato il mio modo di esprimermi.
Come ha imparato l’italiano? «Credo che sia riuscito a impararlo così bene nel silenzio, ascoltavo tutto e immagazzinavo. Per anni mi sono limitato a rispondere a malapena alle domande che mi venivano poste. Dall’esterno, la chiamavano timidezza. In realtà, ero ancora profondamente scioccato. Il teatro è stato una sorta di autoanalisi. Poi ho iniziato a frequentare la Silvio D’Amico. All’inizio mi accolsero come allievo straniero poi alla fine del corso, che durava un anno, chiesi di poter entrare come allievo italiano, come tutti gli altri. Per i responsabili e gli insegnanti era la prima volta che un allievo straniero chiedesse di diplomarsi come italiano, ma capirono la mia esigenza. Risultai idoneo, feci gli esami nuovamente, entrai per la seconda volta e uscii come italiano. Avevo 22 anni e per la prima volta mi sentii davvero italiano. E quindi meno solo, non più diverso».
Era stata dura fino a quel momento? «I ragazzini di 15-16 anni sanno bene come essere cattivi. Non sono mai stato bullizzato fisicamente, ma le parole possono ferire altrettanto. Per anni sono stato l’escluso, lo straniero».
Ricorda il suo primo amico in Italia? «Certo, ci sentiamo ancora. È stato il mio primo compagno di banco: un ragazzo di Capo Verde, nato a Napoli, ma dal nome svedese, Nilsson. Fu il primo con cui feci squadra, lui era nero e io ero rumeno. Ci sentivamo diversi, ma alla fine non lo eravamo poi così tanto».
In Italia da quasi un anno si parla molto di ius soli, di legge sulla cittadinanza, ma al momento niente è stato ancora approvato. Che cosa ne pensa?
«In base al mio percorso, posso dire che ultimamente l’Italia ha fatto dei grandi passi avanti in questa direzione. Sono convinto che si possa arrivare a un’apertura del genere, anzi che si è già arrivati. È inevitabile, anche perché nessuno è puro – se si vuol parlare di purezza – geneticamente. L’essere umano si è sempre spostato, ha sempre cambiato luogo. Chiudersi sarebbe un grande passo indietro. Il mio amico, per esempio, ha ottenuto la cittadinanza solo cinque anni fa, nonostante sia nato a Napoli. Ma sono ottimista, presto le cose cambieranno».
Che rapporto ha con sua madre? «Splendido, nonostante all’inizio non fosse d’accordo sulla mia decisione di voler intraprendere la carriera d’attore. Si augurava per me un lavoro più regolare, “come tutte le persone normali”, mi diceva. Con ferie, orari. Negli anni poi ha capito che recitare era davvero il mio desiderio. La prima volta che mi ha visto a teatro si è commossa. E oggi ogni mio piccolo successo è per lei motivo di gioia. Ed è anche una sua vittoria, dopo i tanti sacrifici che ha fatto».
Dopo il suo trasferimento in Italia, è più tornato in Romania?
«All’inizio raramente. Nei primi 12 anni, sono tornato due volte. Per quell’allontanamento dalle mie radici che per anni ho provato a portare avanti. Da quando ho capito che abbracciare la mia cultura d’origine sarebbe stata la mia forza, ho viaggiato più spesso. Adesso in Romania torno volentieri. Lì ho mio padre, diversi amici. Ultimamente ho iniziato anche a riscoprire la letteratura rumena. Oggi so che capire ed essere capiti in due lingue diverse è una cosa talmente bella che non può che portare ricchezza. Ogni bambino nato qui da genitori stranieri o cresciuto qui è una risorsa meravigliosa. Non un problema».
A tornare indietro, qual è il suo primo ricordo sereno? «Io, bambino, dai nonni in Moldavia. Si camminava scalzi e si correva nei boschi, c’era un legame con la natura pazzesco. Non c’era niente, ma c’era tutto. Lì ho imparato la condivisione pura. Oggi non esiste. Nessuno più ti dice: “Ti racconto qualcosa” e poi continua senza distrazioni. Preferiamo i messaggi brevi, i WhatsApp, le mezze risposte».
Lei usa poco i social network, ma a scrivere il suo nome su Google la prima voce di ricerca che appare è «fidanzata». «Se mi sta chiedendo se al momento sono fidanzato, la risposta è no. Per il resto non amo parlare del mio privato. Sono abbastanza timido e più vado avanti con questa carriera, più prende spazio l’idea di voler tenere il mio privato lontano dai riflettori. Perché non conta, contano solo i personaggi che ho la fortuna di interpretare.
In tv finora ha quasi sempre indossato i panni del cattivo. Anche questa volta in Romanzo Famigliare. «Non mi dispiace, essere cattivo rende tutto ancora più interessante, mi piace cercare l’umanità in quei personaggi. Non siamo mai una cosa e basta. In Romanzo Famigliare alla fine, però, ci sarà una sorpresa».
Le piace vivere a Roma? «È una città meravigliosa, con una luce stupenda, ma sta diventando sempre più caotica. In futuro mi piacerebbe prendere una casa fuori Roma, in mezzo alla natura. Vorrei invecchiare lì».
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